Il San Calisto è indubbiamente un bar particolare. Ci sono tanti bar così a Roma, intendiamoci, ma non più tantissimi al centro della città dove un minimo di pressione dovuta a qualche micragnoso investimento in chiave turistica ha teso a modificare ed aggiornare i connotati (spesso in peggio, talvolta in meglio) degli esercizi commerciali tradizionali.
Come tanti bar di Roma il San Calisto è un bar di medio livello. Liquori e distillati commerciali, vini commerciali, gelato mediocre, lieviti e dolci provenienti da laboratori lontani dall'eccellenza, caffè idem. Il suo nome non esiste in nessuna ipotizzabile classifica dei migliori bar della città, luoghi dove con ricerca, impegno e investimenti si cerca di fare qualità elevando un livello che tende ad adagiarsi sull'idea diffusa che la sciatteria sia la normalità. A Roma, tuttavia, essere mediocri equivale ad essere "tradizionali" e un certo pressapochismo andante e incuranza verso le novità, verso i tempi che cambiano, verso una attenzione al prodotto equivale a un sapore local da tutelare. Lo strapaese e la provincialità dovunque sono un po' uno stigma da superare, qui sono issate a vessilli inscalfibili. Una faccenda antropologica unica, questo crogiolarsi nel proprio squallore combattendo chi vuole migliorarlo, che verrà studiata in futuro nelle università di mezzo mondo.
Ma chi va al San Calisto non è interessato alla qualità, alla naturalità o all'artigianalità dei prodotti, al fatto che i succhi siano di quella azienda che lavora in quel dato modo o che il caffè sia scelto e selezionato chicco per chicco come ormai i bar tendono sempre di più a fare, chi va al San Calisto lo fa perché questo è considerato, a torto o a ragione (in parte a torto, perché le forzature sono evidenti, in parte a ragione), un luogo dove si respira ancora una veracità trasteverina sebbene da tempo la fauna indigena sia stata imbastardita e diluita da un'orda di radical chic, sfaccendati, scemografi, pseudo drammaturghi in cerca di ispirazione, paraculetti figli di papà, militanti di estrema sinistra dal lun al ven (sab e dom a Porto Ercole) e hipster come in una sorta di enclave-Pigneto nel cuore della città. L'esprit borgataro di un tempo (quando Trastevere era una borgata) è stato totalmente soppiantato e non è neppure detto che questo fosse un male, perché va bene l'autenticità e la genuinità ma non si capisce perché a Roma spacciatori, tagliagole, ladruncoli, scippatori cialtroni, cazzari, trucidoni, avanzi di galera e ignoranti debbano essere considerati "folklore da difendere" da difendere invece che "problema da risolvere" o quanto meno da affrontare.
Il bar San Calisto è stato chiuso per tre giorni per via di qualche assurda normativa (retaggi di qualche Regio Decreto degli anni Trenta o Quaranta, I presume) che permette ai Prefetti di sigillare i locali frequentati da pregiudicati che per di più recano disturbo alla quiete pubblica. Come se servire un caffè ad uno che in passato ha scontato delle pene possa farti rischiare, a te esercente, di dover chiudere bottega rinunciando al tuo business.
A Roma i commercianti, specie quelli onesti (e non abbiamo motivi di dubitare che i titolari del San Calisto lo siano in pieno), sono oggetto di attacchi continui da parte della burocrazia e delle forze dell'ordine. Quasi mai per cattiva volontà di qualcuno, quasi sempre per via di normative assurde, mai riformate, mai sistemate, ma adeguate ai tempi.
Chiusure, danni economici gravi, autentiche cattiverie e prepotenze verso chi ha l'unica colpa di dare un servizio ai clienti e di creare benessere, ricchezze, posti di lavoro rischiando in proprio sono all'ordine del giorno. Nonostante questo nessuna ingiusta chiusura beneficia di una mobilitazione come quella che c'è stata per i tre giorni (tre giorni, non tre anni eh!) comminati al San Calisto.
Appena diffusa la notizia c'è stato un fuoco di fila incredibile armato proprio da quel fighettume di "avanzi del Pigneto" che ha fatto diventare il San Calisto ciò che non era e che ora dice di volerlo tutelare. Paradossale no? Professionisti, giornalisti impegnati, blog benekomunisti (un fanomeno romano sul quale bisognerebbe studiare, guarda caso gli stessi blog gestiti dalla camorra che hanno additato Roma fa Schifo come fosse una sorta di cripto ufficio stampa di Metro C, sic.), cronisti di Repubblica che vivono eternamente come se fossero immersi nell'okkupazione di quarta liceo (ovviamente Liceo Virgilio o Liceo Visconti, beninteso, al massimo Liceo Tasso o Mamiani), politicanti del Pd, redattori de Il Manifesto (ma esiste ancora? Su web pare di sì) e gli immancabili "ragazzi" del Cinema America incavolati perché non c'è nulla che si può muovere a Trastevere senza il loro consenso...
"Aprite il San Calisto dove il caffè costa ancora 0,80". Questa la filastrocca. Mentre tutte le città europee fanno a gara ad offrire format gastronomici di qualità che tramutano il bar non solo in una piazza aperta a tutti, ma in una ambasciata di prodotti e di stili di consumo di ricerca e di qualità, qui stiamo a pensare a risparmiare 10 o 20 centesimi per un caffè. "Il San Calisto accetta tutti, dal senza tetto al notaio, dal povero al politico" urlano i pasdaran radical chic orfani per 72 ore del loro quartier generale, incuranti che questo è ciò che fanno tutti i bar a Roma. Tutti. Questo sarebbe il loro preteso "presidio contro la gentrificazione"; e giù risate a crepapelle da parte di chi ha capito da sempre il giochetto di questi personaggi che con la loro mentalità malata hanno contribuito, non combattuto, alla rovina di quartieri come San Lorenzo, Pigneto e appunto Trastevere. L'unico presidio anti gentrificazione al mondo peno zeppo di imbrazzante fighettume. I veri presidi contro la gentrificazione a Trastevere sono altri: sono Marco Radicioni, artigiano del gelato forse primo a livello planetario, che ha aperto da qualche giorno la seconda sede della sua Otaleg; sono Giuseppe Solfrizzi col suo laboratorio di pasticceria Le Levain che dà lavoro vero e diffonde qualità assoluta; sono Antonio Marino e Marisa de Les Vignerons, l'enoteca che ha insegnato a Roma il vino naturale; sono Antonio Ziantoni che ha raccolto tutti i risparmi di famiglia e ha aperto qualche giorno fa il suo ristorante Zia dove un menù degustazione di livello stellare costa 45 euro; sono Pier Daniele Seu che mettendoci faccia, nome e soldi suoi ha aperto quella che dopo poche settimane dall'inaugurazione è già sul podio delle pizzerie di Roma. E poi ci sono posti straordinari di ricerca gastronomica come Glass, progetti unici nel proprio campo come Eggs, Bir e Fud, Ma che siete venuti a fa, La Punta, l'Enoteca Ferrara, il primo ristorante dei Trapizzini con un'offerta di una bontà indimenticabile e molti altri a venire come il futuro Jacopa. Giusto per contrastare la sciocca narrazione giustificazionista (nella quale però tutti cascano) di un rione pieno solo di postacci per turisti dove c'è chissà quale bisogno di "presidi" contro la gentrificazione. Sono le bugie che una certa Roma racconta e si racconta, sempre uguali da anni: menzogne su menzogne. Per non dire delle cento gallerie d'arte, dei cento negozi di artigianato, dei panifici, delle pasticcerie e così via. A Trastevere (come altrove) c'è solo bisogno di presidi contro l'idiozia di chi diffonde il virus nocivo di un modo di pensare marcio che ha cittadinanza ormai solo a Roma, proprio quel modo di pensare che tiene alla larga gli investimenti di qualità e onesti (che potrebbero essere molto di più) creando per questi un ambiente ostile e spianando la strada ai soldi sporchi, al riciclaggio, ai locali dei localari e alle pappatoie per turisti.
"Riaprite il San Calisto, dove il gelato costa 1 euro" urlano i paladini dell'autenticità perduta. Ma il gelato, signori miei, non deve costare "1 euro", il gelato deve essere buono, anche se poi questo lo fa costare un euro e mezzo. Il gelato deve essere cultura, deve essere ricerca, deve essere il terminale di artigiani, allevatori, ortolani, aziende agricole. Questo è il gelato, il resto è polverina industriale fatta chissà dove, assemblata chissà dove e a forza di mangiarla si diventa come voi: cervelli totalmente atrofizzati. Questa mentalità schiude la città alle mafie con l'ulteriore colpa mistificatoria di dire di combatterle. Non si capisce perché Roma fa Schifo debba essere l'unico luogo della città dove questo inganno viene raccontato. Perché? Non vogliamo questa esclusiva!
Il gelato chimico a 1 euro e la Birra Peroni (il cui logo brandizza tutto il San Calisto) ormai da tempo proprietà di un gruppo giapponese da 7 miliardi di fatturato. Però la sorseggiano discutendo di fare la guerra alle multinazionali cattive perché loro sono contro la gentrification. Perché li sputtaniamo soltanto noi e non lo facciamo tutti assieme una buona volta? "Il San Calisto è un bar che non caccia via chi ha solo 2 euro in tasca" spiega solerte Puntarella Rossa mentre noi ci domandiamo: ma quale diamine di bar a Roma caccia via chi ha due euro? Con due euro fai la tua consumazione al San Calisto come in millemila altri bar, compreso il bellissimo Giselda di Viale Trastevere che dà lavoro e decine di persone dopo aver investito centinaia di migliaia di euro e che da anni chiede aiuto perché letteralmente sommerso da una cordigliera putrescente di bancarelle: nessun radical chic si è mosso a pietà scrivendo un articolo o confezionando un tweet però...
E poi che razzo di modo da sfigati e da perdenti è questo per combattere il commercio scadente e turistico? Se c'è un problema di commercio scadente cosa fai, ti rifugi nell'unico posto che ha rifiutato di cambiare, come in una fortezza per eletti, oppure aiuti chi vuole cambiare a farlo bene sostenendo l'imprenditoria di qualità, i giovani che rischiano e i progetti di innovazione e di ricerca? Il "presidio" non è mai chi resta uguale a se stesso, ma chi evolve nella direzione corretta contrastando così chi lo fa nella direzione errata semmai.
Ma la protesta è ancor più ridicola, ignobile, patetica (in una parola "romana") se pensiamo che nessuno di questi signori ha protestato quando ingiustizie ben più ingiustificate sono state comminate ad esercizi commerciali che, a differenza di San Calisto, hanno investito sulle strutture, sulla qualità dei prodotti, sugli arredi provando a dare a giovani romani una speranza diversa dall'E' il caso del Casale dei Cedrati, storia incredibile di cui abbiamo parlato qui giusto un mese fa. A parte Roma fa Schifo, il silenzio di tutti coloro che oggi sbraitano. Eppure stiamo parlando di un Comune che si comporta come la 'Ndrangheta, possibile che nessuno si sia scandalizzato? Dopo quel nostro articolo ci sono purtroppo delle novità negative: il Casale dei Cedrati ha addirittura rinunciato a combattere e sta restituendo la concessione. Una sconfitta enorme, passata sotto silenzio.
Ma i casi di questo tipo sono decine e decine al giorno. Lo schema è sempre il solito. Giovani imprenditori che provano a far qualcosa in questa città, investano, sognano, progettano, magari riescono ad aprire il loro locale provando a farlo per bene, in linea con quello che si fa in tutto il mondo e, proprio per questo (la città non può accettare cose fatte in maniera seria, perché altrimenti farebbero emergere in maniera evidente lo scarto con tutto il resto dunque qualsiasi cosa onesta e bella è destabilizzante per l'ordine costituito), vengono massacrati.
L'ultimo caso riguarda Materia, progetto a San Giovanni, nelle strade depresse e deserte (prima del loro arrivo) attorno a Via Carlo Felice. Una iniziativa di un gruppo di architetti che ha aperto con un anno di ritardo a causa delle autentiche angherie e sevizie da parte delle nostre preziose società di multiservizi (quelle presiedute da Lanzalone), che ora è stata costretta a chiudere per qualche cavillo relativo ai "locali tecnici". Poco importa se tutto intorno vivacchino indisturbati locali di dubbissimo livello e se di fronte, sul marciapiede lungo il giardino, si svolga ogni giorno uno sconfinato mercato abusivo di prodotti rubati o trafugati dai cassonetti dell'Ama: è più facile colpire i commercianti per bene. Specie quelli che non otterranno mai la mobilitazione della parte peggiore, ma più influente e rumorosa, della città.
Come tanti bar di Roma il San Calisto è un bar di medio livello. Liquori e distillati commerciali, vini commerciali, gelato mediocre, lieviti e dolci provenienti da laboratori lontani dall'eccellenza, caffè idem. Il suo nome non esiste in nessuna ipotizzabile classifica dei migliori bar della città, luoghi dove con ricerca, impegno e investimenti si cerca di fare qualità elevando un livello che tende ad adagiarsi sull'idea diffusa che la sciatteria sia la normalità. A Roma, tuttavia, essere mediocri equivale ad essere "tradizionali" e un certo pressapochismo andante e incuranza verso le novità, verso i tempi che cambiano, verso una attenzione al prodotto equivale a un sapore local da tutelare. Lo strapaese e la provincialità dovunque sono un po' uno stigma da superare, qui sono issate a vessilli inscalfibili. Una faccenda antropologica unica, questo crogiolarsi nel proprio squallore combattendo chi vuole migliorarlo, che verrà studiata in futuro nelle università di mezzo mondo.
Ma chi va al San Calisto non è interessato alla qualità, alla naturalità o all'artigianalità dei prodotti, al fatto che i succhi siano di quella azienda che lavora in quel dato modo o che il caffè sia scelto e selezionato chicco per chicco come ormai i bar tendono sempre di più a fare, chi va al San Calisto lo fa perché questo è considerato, a torto o a ragione (in parte a torto, perché le forzature sono evidenti, in parte a ragione), un luogo dove si respira ancora una veracità trasteverina sebbene da tempo la fauna indigena sia stata imbastardita e diluita da un'orda di radical chic, sfaccendati, scemografi, pseudo drammaturghi in cerca di ispirazione, paraculetti figli di papà, militanti di estrema sinistra dal lun al ven (sab e dom a Porto Ercole) e hipster come in una sorta di enclave-Pigneto nel cuore della città. L'esprit borgataro di un tempo (quando Trastevere era una borgata) è stato totalmente soppiantato e non è neppure detto che questo fosse un male, perché va bene l'autenticità e la genuinità ma non si capisce perché a Roma spacciatori, tagliagole, ladruncoli, scippatori cialtroni, cazzari, trucidoni, avanzi di galera e ignoranti debbano essere considerati "folklore da difendere" da difendere invece che "problema da risolvere" o quanto meno da affrontare.
Il bar San Calisto è stato chiuso per tre giorni per via di qualche assurda normativa (retaggi di qualche Regio Decreto degli anni Trenta o Quaranta, I presume) che permette ai Prefetti di sigillare i locali frequentati da pregiudicati che per di più recano disturbo alla quiete pubblica. Come se servire un caffè ad uno che in passato ha scontato delle pene possa farti rischiare, a te esercente, di dover chiudere bottega rinunciando al tuo business.
A Roma i commercianti, specie quelli onesti (e non abbiamo motivi di dubitare che i titolari del San Calisto lo siano in pieno), sono oggetto di attacchi continui da parte della burocrazia e delle forze dell'ordine. Quasi mai per cattiva volontà di qualcuno, quasi sempre per via di normative assurde, mai riformate, mai sistemate, ma adeguate ai tempi.
Chiusure, danni economici gravi, autentiche cattiverie e prepotenze verso chi ha l'unica colpa di dare un servizio ai clienti e di creare benessere, ricchezze, posti di lavoro rischiando in proprio sono all'ordine del giorno. Nonostante questo nessuna ingiusta chiusura beneficia di una mobilitazione come quella che c'è stata per i tre giorni (tre giorni, non tre anni eh!) comminati al San Calisto.
Appena diffusa la notizia c'è stato un fuoco di fila incredibile armato proprio da quel fighettume di "avanzi del Pigneto" che ha fatto diventare il San Calisto ciò che non era e che ora dice di volerlo tutelare. Paradossale no? Professionisti, giornalisti impegnati, blog benekomunisti (un fanomeno romano sul quale bisognerebbe studiare, guarda caso gli stessi blog gestiti dalla camorra che hanno additato Roma fa Schifo come fosse una sorta di cripto ufficio stampa di Metro C, sic.), cronisti di Repubblica che vivono eternamente come se fossero immersi nell'okkupazione di quarta liceo (ovviamente Liceo Virgilio o Liceo Visconti, beninteso, al massimo Liceo Tasso o Mamiani), politicanti del Pd, redattori de Il Manifesto (ma esiste ancora? Su web pare di sì) e gli immancabili "ragazzi" del Cinema America incavolati perché non c'è nulla che si può muovere a Trastevere senza il loro consenso...
"Aprite il San Calisto dove il caffè costa ancora 0,80". Questa la filastrocca. Mentre tutte le città europee fanno a gara ad offrire format gastronomici di qualità che tramutano il bar non solo in una piazza aperta a tutti, ma in una ambasciata di prodotti e di stili di consumo di ricerca e di qualità, qui stiamo a pensare a risparmiare 10 o 20 centesimi per un caffè. "Il San Calisto accetta tutti, dal senza tetto al notaio, dal povero al politico" urlano i pasdaran radical chic orfani per 72 ore del loro quartier generale, incuranti che questo è ciò che fanno tutti i bar a Roma. Tutti. Questo sarebbe il loro preteso "presidio contro la gentrificazione"; e giù risate a crepapelle da parte di chi ha capito da sempre il giochetto di questi personaggi che con la loro mentalità malata hanno contribuito, non combattuto, alla rovina di quartieri come San Lorenzo, Pigneto e appunto Trastevere. L'unico presidio anti gentrificazione al mondo peno zeppo di imbrazzante fighettume. I veri presidi contro la gentrificazione a Trastevere sono altri: sono Marco Radicioni, artigiano del gelato forse primo a livello planetario, che ha aperto da qualche giorno la seconda sede della sua Otaleg; sono Giuseppe Solfrizzi col suo laboratorio di pasticceria Le Levain che dà lavoro vero e diffonde qualità assoluta; sono Antonio Marino e Marisa de Les Vignerons, l'enoteca che ha insegnato a Roma il vino naturale; sono Antonio Ziantoni che ha raccolto tutti i risparmi di famiglia e ha aperto qualche giorno fa il suo ristorante Zia dove un menù degustazione di livello stellare costa 45 euro; sono Pier Daniele Seu che mettendoci faccia, nome e soldi suoi ha aperto quella che dopo poche settimane dall'inaugurazione è già sul podio delle pizzerie di Roma. E poi ci sono posti straordinari di ricerca gastronomica come Glass, progetti unici nel proprio campo come Eggs, Bir e Fud, Ma che siete venuti a fa, La Punta, l'Enoteca Ferrara, il primo ristorante dei Trapizzini con un'offerta di una bontà indimenticabile e molti altri a venire come il futuro Jacopa. Giusto per contrastare la sciocca narrazione giustificazionista (nella quale però tutti cascano) di un rione pieno solo di postacci per turisti dove c'è chissà quale bisogno di "presidi" contro la gentrificazione. Sono le bugie che una certa Roma racconta e si racconta, sempre uguali da anni: menzogne su menzogne. Per non dire delle cento gallerie d'arte, dei cento negozi di artigianato, dei panifici, delle pasticcerie e così via. A Trastevere (come altrove) c'è solo bisogno di presidi contro l'idiozia di chi diffonde il virus nocivo di un modo di pensare marcio che ha cittadinanza ormai solo a Roma, proprio quel modo di pensare che tiene alla larga gli investimenti di qualità e onesti (che potrebbero essere molto di più) creando per questi un ambiente ostile e spianando la strada ai soldi sporchi, al riciclaggio, ai locali dei localari e alle pappatoie per turisti.
"Riaprite il San Calisto, dove il gelato costa 1 euro" urlano i paladini dell'autenticità perduta. Ma il gelato, signori miei, non deve costare "1 euro", il gelato deve essere buono, anche se poi questo lo fa costare un euro e mezzo. Il gelato deve essere cultura, deve essere ricerca, deve essere il terminale di artigiani, allevatori, ortolani, aziende agricole. Questo è il gelato, il resto è polverina industriale fatta chissà dove, assemblata chissà dove e a forza di mangiarla si diventa come voi: cervelli totalmente atrofizzati. Questa mentalità schiude la città alle mafie con l'ulteriore colpa mistificatoria di dire di combatterle. Non si capisce perché Roma fa Schifo debba essere l'unico luogo della città dove questo inganno viene raccontato. Perché? Non vogliamo questa esclusiva!
Il gelato chimico a 1 euro e la Birra Peroni (il cui logo brandizza tutto il San Calisto) ormai da tempo proprietà di un gruppo giapponese da 7 miliardi di fatturato. Però la sorseggiano discutendo di fare la guerra alle multinazionali cattive perché loro sono contro la gentrification. Perché li sputtaniamo soltanto noi e non lo facciamo tutti assieme una buona volta? "Il San Calisto è un bar che non caccia via chi ha solo 2 euro in tasca" spiega solerte Puntarella Rossa mentre noi ci domandiamo: ma quale diamine di bar a Roma caccia via chi ha due euro? Con due euro fai la tua consumazione al San Calisto come in millemila altri bar, compreso il bellissimo Giselda di Viale Trastevere che dà lavoro e decine di persone dopo aver investito centinaia di migliaia di euro e che da anni chiede aiuto perché letteralmente sommerso da una cordigliera putrescente di bancarelle: nessun radical chic si è mosso a pietà scrivendo un articolo o confezionando un tweet però...
E poi che razzo di modo da sfigati e da perdenti è questo per combattere il commercio scadente e turistico? Se c'è un problema di commercio scadente cosa fai, ti rifugi nell'unico posto che ha rifiutato di cambiare, come in una fortezza per eletti, oppure aiuti chi vuole cambiare a farlo bene sostenendo l'imprenditoria di qualità, i giovani che rischiano e i progetti di innovazione e di ricerca? Il "presidio" non è mai chi resta uguale a se stesso, ma chi evolve nella direzione corretta contrastando così chi lo fa nella direzione errata semmai.
Ma la protesta è ancor più ridicola, ignobile, patetica (in una parola "romana") se pensiamo che nessuno di questi signori ha protestato quando ingiustizie ben più ingiustificate sono state comminate ad esercizi commerciali che, a differenza di San Calisto, hanno investito sulle strutture, sulla qualità dei prodotti, sugli arredi provando a dare a giovani romani una speranza diversa dall'E' il caso del Casale dei Cedrati, storia incredibile di cui abbiamo parlato qui giusto un mese fa. A parte Roma fa Schifo, il silenzio di tutti coloro che oggi sbraitano. Eppure stiamo parlando di un Comune che si comporta come la 'Ndrangheta, possibile che nessuno si sia scandalizzato? Dopo quel nostro articolo ci sono purtroppo delle novità negative: il Casale dei Cedrati ha addirittura rinunciato a combattere e sta restituendo la concessione. Una sconfitta enorme, passata sotto silenzio.
Ma i casi di questo tipo sono decine e decine al giorno. Lo schema è sempre il solito. Giovani imprenditori che provano a far qualcosa in questa città, investano, sognano, progettano, magari riescono ad aprire il loro locale provando a farlo per bene, in linea con quello che si fa in tutto il mondo e, proprio per questo (la città non può accettare cose fatte in maniera seria, perché altrimenti farebbero emergere in maniera evidente lo scarto con tutto il resto dunque qualsiasi cosa onesta e bella è destabilizzante per l'ordine costituito), vengono massacrati.
L'ultimo caso riguarda Materia, progetto a San Giovanni, nelle strade depresse e deserte (prima del loro arrivo) attorno a Via Carlo Felice. Una iniziativa di un gruppo di architetti che ha aperto con un anno di ritardo a causa delle autentiche angherie e sevizie da parte delle nostre preziose società di multiservizi (quelle presiedute da Lanzalone), che ora è stata costretta a chiudere per qualche cavillo relativo ai "locali tecnici". Poco importa se tutto intorno vivacchino indisturbati locali di dubbissimo livello e se di fronte, sul marciapiede lungo il giardino, si svolga ogni giorno uno sconfinato mercato abusivo di prodotti rubati o trafugati dai cassonetti dell'Ama: è più facile colpire i commercianti per bene. Specie quelli che non otterranno mai la mobilitazione della parte peggiore, ma più influente e rumorosa, della città.