Roma è all'anno zero del mercato rionale, questo è evidente a tutti. O per incapacità dell'amministrazione, o per mancanza di una visione, o per ignoranza di politici, operatori economici e cittadini, o per ottusità di cooperative e commercianti. Beh, sarà quel che sarà, ma la città è l'unica in occidente a non ripensare - una piccolisssssssima eccezione il mercato in fondo a Viale Parioli e qualche spunto a Testaccio - come adeguare i propri mercati rionali. Alcuni sono ancora delle bidonville pericolose, fetenti e foriere di malattie (pensate a Piazza San Giovanni di Dio, una roba di cui dovrebbe parlare il Parlamento Europeo), altri, quelli che almeno una struttura ce l'anno, da Via Chiana a Via Magna Grecia, da Ponte Milvio a Trionfale arrivando a Via Baccina, a Testaccio o a Cola di Rienzo, aprono all'alba e chiudono a pranzo. Una autentica follia sotto ogni punto di vista.
Ovviamente altre città stanno affrontando e risolvendo questa faccenda. All'estero già da anni (come su quasi tutte le partite economiche siamo una trentina d'anni indietro), basti pensare a Chelsea Market a New York, Borough Market a Londra, San Miguel e San Antòn a Madrid, Boqueria a Barcellona, Ribeira a Lisbona e avanti così, ad esempio, in tutte le città dei paesi nordici, da Stoccolma a Amsterdam.
A Roma niente. "Aho se svegliamo presto ma che dovemo pure sta aperti er pomeriggio?". Certo che si se guadagni bene, dai servizi e magari riesci a assumere altre persone che coprano i turni. Certo se vivi una vita al limite della legalità, se non fai uno scontrino neppure sotto minaccia e se sei più al nero che altro ovvio che non hai alcun interesse a strutturarti come un'impresa seria. Questo è. Rispetto a questo disastro il comune non fa nulla o quasi. E così la città rinuncia ad avere servizi che altrove generano economia, posti di lavoro, qualità per i turisti che si divertono, spendono, ritornano.
Mentre i nostri mercati sono chiusi e sbarrati (se non, in alcuni casi, abbandonati anche perché abbiamo deciso di trasformare in mercato i marciapiedi, rubando spazio pubblico e riempiendo la città di un format commerciale, la bancarellademutande, che non ha cittadinanza neppure nelle peggiori repubbliche centroafricane), a Bologna il Mercato delle Erbe, luogo della tradizione in pieno centro, sta aperto fino alle 2 di notte. E non pensate a movida e casini. La maggior parte dei banchi chiudono, ma quelli che restano aperti si sono attrezzati. C'è il posto che fa cucina pugliese, c'è il banco che fa dim sum asiatici ma fatti tirare a mano dalle sfogline emiliane e una volta a settimana fa una serata dedicata al bere di qualità, c'è il ristorante del pesce, immerso nell'area delle pescherie, che di giorno è un ristorante vero e proprio e la sera prepara solo squisite tapas, c'è il posto che prepara panini gourmet. E a metà dicembre, occupando tutta un'ala del mercato, ha aperto "Altro?" (come la richiesta che i commercianti fanno ai clienti), un format che comprende bar, panineria, pizzeria, ristorante vegetariano con un centinaio di posti a sedere. Il tutto con un arredo azzeccatissimo: grande eleganza e buon gusto. Perfetto inserimento nel contesto.
E sempre tanta, tantissima gente che mangia e si diverte in maniera composta. Il mercato si riempie di giovani che passano davanti ai banchi chiusi e buttano l'occhio. Una funzione quasi didattica che permette ai frequentatori di visualizzare all'istante quali siano frutti e verdure di stagione. Per magari poi tornare l'indomani a comprarle quando tutto il mercato tradizionale sarà riaperto. E dunque una crescita dei fatturati anche dei banchi che comunque rimangono chiusi.
Insomma ci guadagnano tutti: i commercianti, l'amministrazione, i visitatori e turisti e in fine i clienti. L'unica cosa che ci perde è l'abitudine a lasciare le cose come sono. La sciatteria e la pigrizia intellettuale, quelle si, vanno a farsi benedire. Sia mai eh...!? Evidentemente questa città ritiene di potersi permettere il lusso di lasciare brani di economia e di business inutilizzati, improduttivi. Tanto poi basta tagliare la cultura, basta tagliare i servizi, basta risparmiare sugli asili nido. Perché mai mettersi a lavorare per far girare le cose e diffondere benessere quando c'è ancora spazio per far pagare a tutti l'inefficienza e le cattive pratiche diffuse? E poi, tanto, a Roma nessuno si arrabbia. Questi ragionamenti - e soprattutto la quantificazione (decine di milioni di euro all'anno) della perdita di tutti noi dovuta alle mancate riforme della città - li fa al massimo Roma fa Schifo. Nessun altro. Non leggerete nulla di simile da nessuna altra parte. Questo è.