Un Paese senza regole, abbandonato a se stesso. Un Paese che si sfilaccia nella vitalità dei propri antichi vizi, avviandosi a una sciatta decadenza. Oggi è questa l'immagine dell'Italia che rimanda la sua capitale. Che rimanda la Roma dei finti centurioni con orologio e calzini (mentre non risulta che si aggirino finti gauchos per le vie di Buenos Aires, o finti sanculotti intorno a Place de la Bastille: sarà un caso?).
Lo sfilacciamento italo-romano comincia dentro e intorno ai Palazzi del potere, come mostra una piccola esperienza personale. Da settimane frequento la biblioteca del Senato. Un'importante biblioteca che dispone anche di fondi molto rari: per certe materie tra le primissime d'Italia. Come dovunque tutte le istituzioni di questo tipo, essa è riservata agli studiosi. Il che vuol dire che non può essere adibita a una sala di studio qualsiasi, ad esempio per studenti universitari i quali vengano a prepararci gli esami portandosi i propri libri e blocchi d'appunti (e se no le biblioteche d'ateneo che ci stanno a fare?). E infatti all'ingresso della biblioteca del Senato fa bella mostra di sé un cartello che vieta l'accesso a questo tipo di frequentatori. Risultato? Nessuno: perfino all'interno di una delle massime istituzioni della Repubblica le regole ci sono sì, ma non per essere rispettate. E così la sala di consultazione di cui dicevo è abitualmente affollata da ventenni con la loro brava bottiglietta di minerale appoggiata sul tavolo.
Ma forse, si potrebbe pensare, è la manifestazione di un lodevole spirito democratico delle istituzioni rappresentative. E già, peccato però che un tale spirito i medesimi presidenti del Senato e della Camera non lo dimostrino per nulla - ne mostrino anzi uno opposto: appropriativo e castale - accaparrandosi d'imperio, da anni, parti sempre maggiori dello spazio pubblico che circonda le loro auguste sedi (esse pure, peraltro, in costante, vorace e costosissima espansione): anche qui solo in forza dei propri comodi e dell'arbitrio. E così, intorno a Montecitorio e a Palazzo Madama, vie e spazi d'ogni tipo un tempo a disposizione dei cittadini come chi scrive (che a Roma è nato e ci vive da sempre), sono oggi sbarrate, riservate, chiuse, confiscate a uso dei privilegiati che solo loro possono passare e, chissà perché, devono per forza poter arrivare dappertutto con le loro automobili. Perfino a piazza Colonna, dove si trova l'ingresso di Palazzo Chigi, i sopracciò della Repubblica si sentono autorizzati, come se nulla fosse, a parcheggiare le loro grosse cilindrate intorno alla colonna Antonina (intorno alla colonna Antonina!) riversandole addosso i relativi scarichi di ossido di carbonio.
La parabola della Lega insegna. Ogni potere italiano che si installa a Roma vi trova lo specchio e la conferma di una propria intima e permanente vocazione: la vocazione all'assenza di regole e al rispetto solo di chi è più forte. Nella capitale dell'Italia delle corporazioni e delle lobby, per esempio, ogni negozio è libero di far caricare e scaricare le merci a qualsiasi ora del giorno, così come alla stazione Termini e a Fiumicino i turisti stranieri vengono regolarmente offerti in olocausto alla potentissima divinità dei tassisti abusivi.
Egualmente, il suolo pubblico è ormai di chi se lo prende: qualunque commerciante è libero di mettere sulla strada i tavolini, le sedie, le fioriere e gli ombrelloni che crede, per fare i propri comodi e i propri affari. Sicché in tutte le vie del centro - trasformate in un seguito ininterrotto di pizzerie e gelaterie di terz'ordine - si cammina solo in stretti corridoi strusciando da una parte e dall'altra piatti sgocciolanti di spaghetti al sugo e di tiramisù.
È qui anche, è sui Sette Colli sempre fatali (anche se nel frattempo il fato è cambiato), che l'Italia dei condoni e dello «scudo», dell'abusivismo e insieme del perdonismo universali, si mostra con il suo volto più compiuto. Qui, dove è virtualmente assente qualsiasi controllo su qualsiasi cosa (sui rifiuti, sul parcheggio in doppia fila, sulle assordanti movide notturne), dove sì e no un passeggero su venti paga il biglietto dell'autobus, dove i permessi taroccati o comprati per entrare nella Ztl sono migliaia; qui, dove il corpo dei vigili urbani - incaricato in teoria di controllare tutto ciò che si è ora detto - gode di una fama che solo la carità di patria e le leggi sulla diffamazione impediscono di indicare con il nome che merita.
E dove altro più che a Roma (forse solo a Gemonio), la Penisola assiste alle imprese del familismo antimeritocratico e delle consorterie di partito, che dal Pirellone al Palazzo dei Normanni la stanno portando alla rovina? È a Roma, infatti, che un'amministrazione disinvolta della cosa pubblica ha pensato bene di affidare tutte le principali aziende cittadine a personaggi improbabili che potevano vantare l'unico merito di essere amici a tutta prova del sindaco Alemanno. Forse, non a caso, finiti poi quasi tutti licenziati o indagati. È questo alla fine che non hanno capito i poveracci travestiti da centurioni: che per continuare a sguainare i loro gladi di latta gli serviva come minimo una tessera del partito dell'imperatore.
Ernesto Galli della Loggia
(sul Corriere della Sera)
La parabola della Lega insegna. Ogni potere italiano che si installa a Roma vi trova lo specchio e la conferma di una propria intima e permanente vocazione: la vocazione all'assenza di regole e al rispetto solo di chi è più forte. Nella capitale dell'Italia delle corporazioni e delle lobby, per esempio, ogni negozio è libero di far caricare e scaricare le merci a qualsiasi ora del giorno, così come alla stazione Termini e a Fiumicino i turisti stranieri vengono regolarmente offerti in olocausto alla potentissima divinità dei tassisti abusivi.
Egualmente, il suolo pubblico è ormai di chi se lo prende: qualunque commerciante è libero di mettere sulla strada i tavolini, le sedie, le fioriere e gli ombrelloni che crede, per fare i propri comodi e i propri affari. Sicché in tutte le vie del centro - trasformate in un seguito ininterrotto di pizzerie e gelaterie di terz'ordine - si cammina solo in stretti corridoi strusciando da una parte e dall'altra piatti sgocciolanti di spaghetti al sugo e di tiramisù.
È qui anche, è sui Sette Colli sempre fatali (anche se nel frattempo il fato è cambiato), che l'Italia dei condoni e dello «scudo», dell'abusivismo e insieme del perdonismo universali, si mostra con il suo volto più compiuto. Qui, dove è virtualmente assente qualsiasi controllo su qualsiasi cosa (sui rifiuti, sul parcheggio in doppia fila, sulle assordanti movide notturne), dove sì e no un passeggero su venti paga il biglietto dell'autobus, dove i permessi taroccati o comprati per entrare nella Ztl sono migliaia; qui, dove il corpo dei vigili urbani - incaricato in teoria di controllare tutto ciò che si è ora detto - gode di una fama che solo la carità di patria e le leggi sulla diffamazione impediscono di indicare con il nome che merita.
E dove altro più che a Roma (forse solo a Gemonio), la Penisola assiste alle imprese del familismo antimeritocratico e delle consorterie di partito, che dal Pirellone al Palazzo dei Normanni la stanno portando alla rovina? È a Roma, infatti, che un'amministrazione disinvolta della cosa pubblica ha pensato bene di affidare tutte le principali aziende cittadine a personaggi improbabili che potevano vantare l'unico merito di essere amici a tutta prova del sindaco Alemanno. Forse, non a caso, finiti poi quasi tutti licenziati o indagati. È questo alla fine che non hanno capito i poveracci travestiti da centurioni: che per continuare a sguainare i loro gladi di latta gli serviva come minimo una tessera del partito dell'imperatore.
Ernesto Galli della Loggia
(sul Corriere della Sera)
L'articolo non direbbe nulla di nuovo - a parte la forse troppo ottima prosa. Quello da constatare è però il giornale che lo pubblica (ove sangue blu del potere italiano ne è azionista) che non fa mai uscire nulla del genere a caso. Si tratta dunque di un messaggio ben chiaro. Ci sarà ora chi - all'interno dei partiti e di certe stanze del potere - dovrà fare le sue valutazioni su come gestire l'attuale sindaco di Roma.
RispondiEliminaQualcosa in effetti si sta muovendo (e vivaddìo!). Anche il Messaggero e La Repubblica (oggi articolo in cronaca di Roma sull'invadenza dei pullman turistici)sembrano dedicare maggiore attenzione al degrado cittadino.
RispondiEliminaQuando oramai il vaso è colmo, non c'è "protettore" che tenga, non c'è berlusconi che assista: sono ormai fuori tempo massimo, stanno praticamente lì a tappare i buchi di una nave disastrata, con uno schettino al comando che ci ha portato in queste acque putride, maleodoranti, piene di degrado, incompetenza, intollerabile malagestione. Aria nuova, che spazzi via questa inqualificabile giunta.
RispondiEliminaInvece a me mandano proprio il sangue al cervello questi articoli fuori tempo massimo. Dove erano quando Roma stava diventando lo schifo che è attualmente?
RispondiEliminaPerchè il Corriere ficca bocca in questioni come Piazza San Silvestro e qualcuno subito batte i tacchi? Come mai?